27 novembre 2006

Il marchese

Canticchia sempre, quand’è soprappensiero, mentre fa qualsiasi cosa, appena possibile, fra una frase e l’altra.
E ogni volta mi viene sempre da sorridere.
Canta con tutto il suo corpo e starlo a sentire è come avere davanti un’orchestra.
La batteria delle sue mani batte il ritmo sul tavolo, sul volante, sulle gambe. La voce segue il testo e poi la melodia, rincorrendo tutti gli strumenti. Mima le pause, intona gli assoli, improvvisa controcanti.
Perso in un’assorta concentrazione, in un’estasi musicale che sembra aiutarlo a pensare.
All’improvviso la interrompe, racconta un aneddoto, risponde ad una domanda o fa una battuta, e poi sparisce di nuovo nel pentagramma della sua testa, e allora ti chiedi se quelle parole ci siano mai state, se le abbia mai pronunciate davvero, o se non ci siano altro che quelle note sussurrate a rimbalzare fra di noi.

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