Si guarda intorno, e quello che vede le strappa un sorriso.
Se ne stanno seduti stipati intorno ad un'unica grande tavolata che hanno arrangiato da soli, spostando rumorosamente le sedie, senza curarsi del cameriere poliglotta che li corteggia cercando di rendersi utile.
I gomiti si toccano, le posate tintinnano, il viavai al buffet è un traffico costante di piatti stracolmi e scoperte culinarie, le parole si mescolano come i cibi, e le risate danno sapore.
Il cucchiaio diventa spoon e cuchara e cuillere e a nessuno importa se quello che si usa per mangiare la zuppa è spagnolo, francese o arabo. Non c'è bisogno di dizionari, chiacchierare a bocca piena fa miracoli e imparano l'uno dell'altro più di quanto programmi e schede potranno mai spiegare.
Le pietanze si susseguono in un ordine nuovo e bizzarro, la fame e la curiosità sembrano non finire mai, fino al caffè, unanime conclusione di quell'incontro di latitudini.
Scostano lentamente le sedie dal tavolo, frugano pigramente nelle tasche alla ricerca delle chiavi delle loro stanze, senza smettere di guardarsi e ascoltarsi - e poi, alla spicciolata, si alzano e si salutano con un lieve cenno della testa o della mano, a significare già un milione di cose.
E allora escono dalla sala, sazi e indaffarati, sorprendendo con un ciao sorridente la piccola italiana che non ha mai smesso di spiarli, convinta che una colonna bastasse a nascondere la sua meraviglia.
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