05 giugno 2007

I do

...
There are twenty years to go.
A golden age I know.
But all will pass, will end to fast, you know.
There are twenty years to go,
And many friends I hope.
Though some may hold the rose some hold the rope.
And that's the end and that's the start of it.
That's the whole and that's the part of it.
That's the high and that's the heart of it.
That's the long and that's the short of it.
That's the best and that's the test in it.
That's the doubt, the doubt,
The trust in it.
That's the sight and that's the sound of it.
That's the gift and that's the trick in it.
You're the truth not I.
Placebo

1 commento:

Anonimo ha detto...

La linea spezzata del progresso

Nella parte del mondo dove noi viviamo il progresso, lo sviluppo e la crescita sembravano per quasi tutta la seconda metà del Novecento procedere secondo un cammino lineare, insieme con la democrazia e i diritti. Un percorso ad una direzione, che poteva soltanto portare avanti l'uomo occidentale e la società in cui lui si muoveva, aumentando ogni cosa: la sua liberazione dal bisogno, il suo benessere, il controllo e lo sfruttamento dell'ambiente in cui viveva, il suo sapere e la sua conoscenza, il motore tecnologico che lo supportava, lo sostituiva, gli semplificava la vita, velocizzandola e liberando porzioni di tempo. Tutta la politica e gran parte della cultura politica, è cresciuta su questo modello. La terra non era un'incognita, e non poteva diventarlo.

Oggi la politica non riesce più a pensare il pianeta, a comprenderlo nelle sue categorie, a concepirlo nei cambiamenti e nelle minacce che subisce e che a sua volta lascia intravvedere. E'come se nella società mondiale del rischio ogni uomo dovesse entrare da solo, senza culture di protezione e di riferimento, senza autorità di garanzia e di controllo, senza un sistema di governo del grande cambiamento in corso. Il cittadino è restituito alla dimensione di uomo, abitante del pianeta, chiamato a interrogarsi sugli effetti globali dei suoi singoli comportamenti: ma impossibilitato a pretendere dagli Stati Nazionali e dagli organismi della globalizzazione una tutela sicura, l'inversione di una politica, una cultura capace di inventare nuove categorie, per rispondere alla crisi.

Tutto ciò che fa impazzire l'ambiente, in terra, in cielo, nell'acqua e nel cibo, dipende in qualche modo da ognuno di noi ma è enormemente più grande di noi, dalla crisi del petrolio all'aumento di anidride carbonica, all'innalzamento delle temperature, al cambiamento climatico, al riscaldamento globale, al buco dell'ozono. Ognuno di questi capitoli della crisi in cui siamo appena entrati minaccia catastrofi e mutazioni decisive della nostra vita, e soprattutto le proietta nello spazio di una-due generazioni, i nostri figli e i nostri nipoti: portando dentro il Primo Mondo, quello del benessere, della crescita e della democrazia la minaccia e il rischio di un declino e di una rottura che erano fuori dalla curva della nostra esperienza. E che oggi cambiano la stessa nostra concezione del futuro, restituendola alla paura, mentre trasformano il passaggio tra le generazioni, proiettandolo in un'incertezza che recupera elementi primordiali.

La ribellione primitiva della Terra, denudando e accusando i modi e le forme della nostra crescita, mette in crisi il concetto stesso di progresso, rompe il nesso fin qui conservato tra povertà e ricchezza, spezza vincoli di solidarietà sopravvissuti. Alla fine, può attaccare oltre al paesaggio, ai costumi e alle condizioni materiali della nostra esistenza anche la nozione stessa di "democrazia come forma di vita".

Poiché ci è toccato in sorte di vivere "nell'anno in cui impazzì il clima", dovremmo riflettere sulla fase che da oggi si apre davanti a noi, mettendo il tema dell'ambiente al centro della nostra agenda privata e pubblica. "Repubblica"intende farlo, stimolando anche la politica a ripensare alla Terra: ricongiungendosi alla vita dei cittadini, almeno quando entra in pericolo.